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Convenzione e compensi di artisti e manager. Un contributo dell’Associazione Dirigenti Rai

Testo dell'intervento su sito articolo21

 

Nel corso dell’interessante convegno che si è tenuto alla Casa del Cinema sulla nuova Convenzione Stato – Rai, si è discusso, tra l’altro, del tetto ai compensi di artisti e dirigenti. Naturalmente, i dirigenti della RAI – come del resto tutti i lavoratori dell’azienda – sono aperti al cambiamento e non ritengono che la politica dei compensi degli artisti e delle retribuzioni dei manager, precedente all’introduzione per legge del tetto, fosse la migliore possibile e dovesse rimanere immutabile.  Inoltre, i dirigenti sono disponibili a misure che razionalizzino l’offerta e riducano i costi, a condizione che ci sia un equilibrio tra obblighi di servizio pubblico e risorse assegnate. Tuttavia, le conseguenze di un tetto ai compensi imposto per legge – senza tener conto del valore e della popolarità di un’artista, della professionalità dei manager e delle quotazioni di mercato – nel medio/lungo termine non potranno che essere devastanti. Il rischio è di perdere i personaggi di maggior spicco che rappresentano l’immagine della Rai o di averli soltanto part-time e in condivisione con le emittenti concorrenti. In ogni caso, i possibili danni in termini di audience e, conseguentemente, di ricavi pubblicitari sono facilmente immaginabili.

L’alternativa, ancora più drammatica, è quella di appaltare “chiavi in mano” tutti i programmi d’intrattenimento di maggior ascolto, con il rischio evidente di marginalizzare le professionalità interne – sia dell’area editoriale sia di quella produttiva – e di provocare nel tempo un restringimento del perimetro aziendale con conseguenti problemi occupazionali: senza contare la perdita del controllo editoriale sui contenuti da parte dell’Azienda.

Non meno gravi sono gli effetti del tetto retributivo per i manager. Si rischia, infatti, di perdere le migliori professionalità sia in ambito editoriale che nella tecnostruttura, com’è già avvenuto in alcuni casi. E sarà sempre più difficile reperire all’esterno, in caso di necessità, manager competenti per ricoprire posizioni strategiche: basti pensare a figure come l’AD o il CFO le cui retribuzioni di mercato sono doppie o triple rispetto al limite di 240.000 euro.

Inoltre, il conseguente livellamento verso il basso delle retribuzioni impedirà, in molti casi, di adottare politiche retributive incentivanti in funzione dei risultati. Tra l’altro, la norma introdotta dalla legge 198/2016 è in palese contrasto con una serie di precetti costituzionali e in particolare con gli articoli 3 e 36. Mi limito a evidenziare la violazione dell’art. 3 per l’ingiustificata disparità di trattamento dei dirigenti e dei collaboratori (tra i quali vengono fatti rientrare gli artisti) della RAI rispetto a quelli delle altre concessionarie di servizi pubblici o società a partecipazione pubblica che hanno emesso strumenti finanziari in mercati regolamentati. Il riferimento all’art. 3 della Carta Costituzionale non è casuale perché – di là delle considerazioni di ordine giuridico – da un po’ di tempo a questa parte viene riservato alla Rai e ai suoi dipendenti, un trattamento discriminatorio. E’, infatti, comprensibile che in un momento di grave crisi economica, in cui larghe fasce della popolazione hanno difficoltà a garantirsi una sopravvivenza dignitosa, siano richiesti sacrifici a chi non ha risentito, o ha risentito in misura minore, della recessione; ma è altrettanto legittimo reclamare che i provvedimenti adottati riguardino indistintamente tutti i cittadini che si trovano nelle medesime condizioni, così come previsto dal principio di uguaglianza “sostanziale” sancito dall’art. 3. Pertanto, i dirigenti e i dipendenti della Rai sono pronti ad accettare le misure, anche drastiche, che il momento richiede, ma senza che vi sia disparità rispetto a realtà analoghe come, ad esempio, le società partecipate dallo Stato, in cui tali provvedimenti non vengono adottati.

Il convegno ha affrontato anche il tema della concessione decennale e dello schema di convenzione. Ad avviso dell’Adrai resta irrisolto il tema delle risorse: a fronte di obblighi da parte della RAI, con tanto di penali, manca un concreto impegno ad assicurarle le risorse necessarie. Infatti, nel 2017 i ricavi da canone – sia per la riduzione dell’importo da 100 a 90 euro sia per la minore quota di extra gettito riservata alla RAI (50 % invece che 66 %) – si attesteranno a livelli comparabili a quelli del 2013 (1, 66 miliardi). Diventa quindi essenziale garantire quantomeno la stabilità dell’importo del canone unitario per il quinquennio di vigenza del contratto di servizio.

Per quanto riguarda il mercato pubblicitario, dopo la timida ripresa del 2016 (+1, 7 %) le prime indicazioni del 2017 fanno registrare una nuova fase di rallentamento e quindi sono previsti ricavi inferiori all’anno precedente di una ventina di milioni, mentre i nuovi obblighi derivanti dalla convenzione avranno per la RAI costi aggiuntivi di rilevante entità. A titolo esemplificativo, garantire la ricezione del segnale al 100 % della popolazione comporta un onere stimabile oltre i 100 milioni di euro.

Quindi, gli oneri di servizio pubblico aumentano, il canone non porta risorse aggiuntive perché torna ai livelli del 2013, nel mercato della pubblicità la Rai è marginale, ulteriori obblighi potrebbero aggiungersi a quelli esistenti mentre il tetto ai compensi per gli artisti (se dovesse essere confermata l’attuale interpretazione) farebbe inevitabilmente diminuire gli ascolti. Il risultato complessivo non può non vedere i dirigenti Rai fortemente preoccupati poiché in gioco è il ruolo della Rai in quanto volano di sviluppo dell’intera filiera dei media di questo paese.